L’euro (EUR) continua nel suo trend rialzista, che dura ormai da qualche giorno, come è ben visibile dal punto di vista grafico tracciando sue rette parallele che possono approssimare resistenze e supporti. La valuta di eurolandia è supportata da stime sull’inflazione in crescita, che si concretizzano nella revisione della probabilità di un primo rialzo di tassi a settembre 2019 dal 69% all’80%. Inoltre circolano voci che indicano come molti membri del board di Francoforte stiano diventando sempre più impazienti e in difficoltà nell’appoggiare le politiche ultraespansive di Mario Draghi, soprattutto Benoît Cœuré.
ll dollaro americano (USD), inoltre, rimane sotto pressione per via degli ultimi dati sul lavoro negli States. La disoccupazione è salita al 4% dal 3.8% previsto, anche se i Non Farm Payroll sono cresciuti di 213 mila unità a fronte delle 195 mila preventivate. Anche la paga oraria, prevista in risalita su base mensile dello 0.3%, si è fermata allo 0.2%. In generale, quindi, il mercato ha interpretato questi dati come leggermente “negativi” e inferiori alle attese.
Anche la sterlina (GBP) è al centro dell’attenzione, in quanto si è appena dimesso il ministro degli esteri del governo May Boris Johnson. Le dimissioni dell’ex sindaco di Londra giungono poco dopo quelle del ministro per la Brexit Davis e sono un chiaro segno delle difficoltà all’interno del governo nell’implementazione del volere popolare che si è espresso nel referendum del giugno 2016. La sterlina reagisce a queste notizie indebolendosi; si trova adesso ad essere scambiata a 1.3261 contro il dollaro.
Probabilmente i due, esponenti di una linea dura con la UE, non hanno gradito le ultime mosse della May, che sembrerebbero prefigurare una forma di Brexit più “soft” rispetto a quella che ritengono sia stato il mandato popolare. Ad esempio, in una riunione del consiglio dei ministri del 6 luglio, è stato proposto di far partecipare la Gran Bretagna ad un “regolamento comune” con la UE per continuare a permettere il libero scambio di merci, anche dopo la Brexit.
Ciò comprometterebbe fondamentalmente la libertà di legiferare liberamente in materia economica, uno dei pilastri della Brexit. Non è da escludere, comunque, che se il governo cadesse la sterlina potrebbe risentirne negativamente. Così come se ci fosse una Brexit senza alcun accordo. Se, invece, si dovesse fare più forte la possibilità di un secondo referendum sul tema, per confermare l’accordo finale con la UE, che dovrebbe vedere questa volta la vittoria del “remain”, la sterlina potrebbe apprezzarsi.
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