La Banca Centrale degli Stati Uniti d’America annuncia un nuovo rialzo dei tassi di un quarto di punto, portandoli nel range 1,75-2%. Inoltre, i governatori facenti parte del board vedono come probabili altri due rialzi del costo del denaro quest’anno, portando potenzialmente, così, il totale degli stessi a quattro nell’anno solare 2018. Nelle previsioni macroeconomiche si citano espressamente i fattori che hanno condizionato questa scelta: inflazione in aumento sopra il 2%, disoccupazione ai minimi storici sotto al 4%, PIL in crescita del quasi 3%. Tutti questi dati sono migliori delle aspettative.
La decisione, comunque, era stata ampiamente prevista dai mercati. Quello che sembra non fosse prezzato, però, sono i 4 rialzi complessivi nel 2018 invece di 3. Powell, tuttavia, si impegna ad andare avanti con “aumenti graduali dei tassi” perché rialzi “troppo veloci o troppo lenti” possono essere dannosi. La politica monetaria resta “accomodante”, rassicura il presidente della Fed.
Per migliorare la trasparenza, inoltre, è stato annunciato che si terrà una conferenza stampa dopo ogni riunione dell’Istituto. La reazione del dollaro (USD) è stata abbastanza contenuta, anche se è facile verificare come stia guadagnando terreno sulle altre principali valute.
Il mercato azionario, invece, perde quasi metà dei guadagni dopo l’annuncio della FED, ma rimane comunque in territorio verde anche visti i dati macroeconomici positivi rilasciati e di cui abbiamo trattato poc’anzi. A destare qualche preoccupazione tra gli investitori, però, è il continuo assottigliamento del differenziale di rendimento tra i titoli di stato di Washington a breve e media scadenza.
La differenza tra il rendimento del titolo a due anni e a dieci anni, infatti, scende sotto lo 0,4%, ai minimi dalla grande crisi finanziaria di dieci anni fa. Questo fenomeno può essere interpretato in vari modi. Uno di questi è che il mercato in qualche modo si aspetta una nuova crisi finanziaria nel breve periodo, che porterebbe instabilità soprattutto sui titoli a breve scadenza. Un’altra interpretazione è che l’inflazione, seppur in crescita, viene ormai considerata come strutturalmente più bassa rispetto al passato e tale da non poter mai portare ad un costo del denaro di molto superiore a quello attuale, nell’ordine del 4.5% o 5% come accadeva in passato.
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